A Soriso il restauro della tela di San Giacomo si realizza con i batteri

La chiesa parrocchiale di Soriso dedicata a San Giacomo è raggiungibile da una scalinata nel punto più elevato del paese, luogo dove in origine era costruito un castello.

Sulla parete in fondo al presbiterio della chiesa parrocchiale di Soriso, sopra al coro ligneo, è collocata la tela del “Martirio di san Giacomo”, opera del 1730 di Tarquinio Grassi, come le due collocate sulle pareti laterali.

Il santo, un uomo maturo con la barba lunga, è genuflesso, affiancato dal carnefice, pronto a decapitarlo per ordine di Erode Agrippa. Sullo sfondo Gerusalemme, sulla sinistra la Vergine con il Bambino e, disposti a semicerchio, dignitari e soldati con abbigliamento e armi d’epoca.

La parte superiore è popolata, tra le nuvole, da un tripudio di angioletti, angeli e cherubini che osservano la scena; due angeli al centro reggono la palma del martirio e una corona.

Questi i dettagli che è possibile osservare in una foto del 2005 quando, per proteggere l’opera dai lavori di restauro dei dipinti della volta soprastante, fu applicata una velina, da allora mai più rimossa.

Su richiesta della Soprintendenza, la parrocchia di Soriso si è pertanto attivata per l’attuazione del progetto e la ricerca dei fondi necessari, grazie al sostegno di FCN e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino CRT. L’intervento di restauro ha un costo di circa 51.000 euro ed è stato affidato alla restauratrice Tiziana Carbonati.

A causa dell’invecchiamento dei materiali, la rimozione della velina con le tecniche tradizionali è risultato molto difficoltoso,  quasi inattuabile. Pertanto, su suggerimento della dott.ssa Emanuela Ozino Caligaris, della Soprintendenza Archeologia, belle Arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, VCO e Vercelli che ha all’attivo collaborazioni con ENEA, si è presa in considerazione la possibilità di rimuovere la colla e la velina con l’ausilio di batteri e prodotti bio-based.

I batteri sono in grado di “mangiare” tantissime sostanze diverse. Seguendo le esigenze dei restauratori, i ricercatori possono scegliere uno o più batteri che hanno caratteristiche utili, rivitalizzarli e coltivarli in nume­ro sufficiente per trattare l’opera. In base alla natura del deposito da ri­muovere, i microbiologi selezionano i batteri in grado di “mangiare” quel deposito e preparano impacchi di cellule microbiche che il restaura­tore applica sulla superficie da restau­rare. Questi prodotti microbici sono selettivi verso i depositi da rimuovere, rispettosi del materiale originario, innocui per gli operatori e non inquinano poiché i prodotti sono biodegradabili.

Sarà la dott.ssa Chiara Alisi dell’Istituto Specializzato ENEA-Roma (la procedura svi­luppata è oggetto di brevetto Europeo ENEA n°W02015040647A1 – Migliore, Tasso, “Batteri restauratori: microrganismi al servizio dell’arte”, Enea Magazine, 2/2021), in collaborazione con la restauratrice Carbonati, ad eseguire i test per questa fase sperimentale e di studio finalizzata all’individuazione del microrganismo più efficace per la rimozione del materiale sovrammesso. Dalle prime prove è emerso che due sono le tipologie di batteri che saranno utilizzate (Pseudomonas Glycinis UT30 e Sphingomonas Dokdonensis tar 2).

La proposta d’intervento è stata accolta da don Luigi Guglielmetti e dagli amministratori del CAEP, approvata dalla Diocesi di Novara nella figura del arch. Paolo Mira Responsabile dell’Ufficio Beni Culturali e autorizzata dal Ministero della cultura, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Biella, Novara, Vco e Vercelli e sarà attuabile grazie al sostegno delle due Fondazioni e della partecipazione della comunità.

PRIMA

OGGI

Dal test di rimozione è emerso che il tempo trascorso rende la rimozione della velina, oggi, molto complessa e delicata Ecco perché la proposta di intervento è la seguente:

Rimozione della colla e della velina dalla superficie pittorica attraverso l’uso di batteri aerobi, con rimozione selettiva della sostanza organica grazie alla consulenza dell’Istituto ENEA di Roma

Fase A – Applicazione del battere individuato e immobilizzato in gel su interposta velina inglese o carta giapponese, applicazione di pellicola in PVC per rallentare l’asciugatura e prolungare l’efficacia del battere;

Fase B – Rimozione dell’impacco dopo circa 13 ore e successiva rimozione meccanica e rifinitura dei residui con sistema acquoso.

Lettura delle superfici con sistema microscopio digitale portatile e visione a pc per individuare eventuali residui di colla e verifica dello stato di conservazione dei materiali originali dell’opera. Osservazione con raggi ultravioletti per valutare la consistenza e l’estensione di eventuali ridipinture della materia originale.

Pulitura della superficie dipinta, qualora necessaria, mediante applicazione di solventi organici e/o soluzioni acquose e/o emulsioni.

Ristabilimento eventuale della coesione e adesione della materia pittorica.

Verniciatura e stuccatura con risarcimento delle lacune.

Restituzione estetica da valutarsi a pulitura ultimata.

Verniciatura finale applicata per nebulizzazione.

L’intervento è funzionale alla conservazione del dipinto – commenta Gianluca Vacchini, Direttore Generale FCN poiché il perdurare sulle superfici della velinatura per un periodo così lungo, potrebbe alterare in modo irreversibile lo stato dell’opera originaria. La Fondazione ha deciso, con piacere, di porsi al fianco della parrocchia per tentare di riportare alla luce, e agli occhi di chi vorrà ammirarla, l’opera dopo circa 17 anni. Siamo anche molto orgogliosi  di sostenere un intervento che utilizza tecnologie così all’avanguardia che tengono conto del prestigio dell’opera ma anche dell’ambiente circostante.

La parrocchia, con il recupero della tela del martirio di San Giacomo, dopo quasi 18 anni di velatura – commenta il parroco don Luigi Guglielmettiintende mantenere intatto il patrimonio artistico della chiesa, salvaguardando l’identità culturale e storica del paese. Papa Benedetto ci ha insegnato che l’arte può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di riflessione spirituale. Nella tela di San Giacomo, la vita dell’apostolo ha parlato al cuore delle generazioni precedenti e penso che parli anche alla nostra generazione distratta da molte immagini. Solo la bellezza ci salverà.